Gli operatori telefonici sono tenuti a conservare i dati del traffico telefonico e telematico, nonché i dati relativi alle chiamate senza risposta, acquisiti a decorrere dal 21 aprile 2015, per il termine di 72 mesi.
Lo stabilisce l’articolo 24 della L. 20/11/2017, n. 167, recante Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017 (Pubblicata nella Gazz. Uff. 27 novembre 2017, n. 277), che entrerà in vigore dal 12 dicembre 2017, che dispone che “1. In attuazione dell'articolo 20 della direttiva (UE) 2017/541 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, sulla lotta contro il terrorismo e che sostituisce la decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, al fine di garantire strumenti di indagine efficace in considerazione delle straordinarie esigenze di contrasto del terrorismo, anche internazionale, per le finalità dell'accertamento e della repressione dei reati di cui agli articoli 51, comma 3-quater, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale il termine di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico nonché dei dati relativi alle chiamate senza risposta, di cui all'articolo 4-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2015, n. 43, è stabilito in settantadue mesi, in deroga a quanto previsto dall'articolo 132, commi 1 e 1-bis, del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
Il citato all'articolo 4-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2015, n. 43 era stato già modificato dall'art. 4 quater del Decreto legge 30 dicembre 2015 n. 210, coordinato con le modifiche introdotte dalla legge di conversione 25 febbraio 2016 n. 21, il quale aveva prorogato il termine originale di 6 mesi, fino al 30 giugno 2017.
Ora, la ratio del nuovo termine di 72 mesi è da ricercare nell’art. 20 della direttiva (UE) 2017/541, che tuttavia si limita a prescrivere che “Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le persone, le unità o i servizi incaricati delle indagini o dell’azione penale per i reati di cui agli articoli da 3 a 12 dispongano di strumenti di indagine efficaci, quali quelli utilizzati contro la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le loro autorità competenti congelino o confischino, se del caso, in conformità della direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, i proventi derivati dall’atto di commettere o di contribuire alla commissione di uno dei reati di cui alla presente direttiva e i beni strumentali utilizzati o destinati a essere utilizzati a tal fine”.
A questo punto, sarebbe interessante capire come il nuovo termine di conservazione dei dati di cui all’art. 24 della L. 167/2017, ad oggi, adottato solo dall’Italia nell’ambito dei paese europei, possa dirsi conforme alle prescrizioni della Sentenza adottata dalla Corte di Giustizia Europea, in data 8 aprile 2014, nella cause riunite C-293/12 e C-594/12 (Digital Rights Ireland e Seitlinger e a.), che invalidava a suo tempo, la Direttiva 2006/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE, che imponeva un termine di conservazione dei dati da un minimo di 6 mesi sino a massimo di 24 mesi.
Nella citata sentenza, la Corte ha ritenuto che la direttiva, imponendo la conservazione di tali dati e consentendovi l’accesso alle autorità nazionali competenti, si ingerisse in modo particolarmente grave nei i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere. Per la Corte, inoltre, il legislatore dell’Unione, con l’adozione della direttiva sulla conservazione dei dati, ha ecceduto i limiti imposti dal rispetto del principio di proporzionalità.
Avv. Silvia Giampaolo
Archivio news