La Suprema Corte apre ai danni punitivi

27 luglio 2017

Con sentenza n. 16601/2017 la Suprema Corte di Cassazione a Sezione Unite ha, per la prima volta, aperto alla possibilità del ristoro dei danni cosiddetti punitivi.

punitive damages, di matrice anglosassone, consistono nel riconoscimento al danneggiato, prevalentemente in ipotesi di tort, di una somma ulteriore rispetto a quella necessaria a compensare il danno subito, qualora il danneggiante abbia agito con malice (dolo) o gross negligence (colpa grave).

Ebbene è proprio la diversa logica sottesa ai danni punitivi ad aver reso gli stessi del tutto incompatibili con il nostro ordinamento di guisa che, fino ad oggi, tale categoria di danno era del tutto sconosciuta all’interno del nostro ordinamento o meglio non accolta dallo stesso.

Ed infatti, per orientamento giurisprudenziale costante “nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso né il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro” (sent. Cass. 1781/2012).

Tale filone giurisprudenziale trovava da sempre fondamento nella convinzione per cui vi fosse una netta incompatibilità tra il rimedio risarcitorio proprio della responsabilità civile, contrapposto da sempre a quello vigente in sede penale, che non è una reazione al comportamento antigiuridico del danneggiante ma è semplicemente una forma di ristoro garantita al soggetto leso, priva pertanto di qualsivoglia funzione punitiva.

Se non che, con la sentenza in oggetto, i giudici di legittimità sembrano per la prima volta cambiare indirizzo e prendendo spunto da tre sentenze pronunciate negli Stati Uniti nell’ambito di una causa di risarcimento danni per incidente motociclistico, statuiscono che nell’ambito della responsabilità civile, pur essendo preminente la funzione di ristoro nei confronti del soggetto danneggiato della lesione subita, la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria sono comunque interne al sistema di responsabilità stesso. Pertanto i giudici della Suprema Corte, facendo leva sul concetto di ordine pubblico interno, hanno sancito che il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia sui danni punitivi “deve corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico”.

In altri termini, dovendosi intendere per ordine pubblico interno “il distillato del sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicchè occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell'Unione Europea dall'art. 6 TUE (Cass. 1302/13)”, l’esame per la risoluzione della questione “va portato sui presupposti che questa condanna deve avere per poter essere importata nel nostro ordinamento senza confliggere con i valori che presidiano la materia di cui agli artt. da 23 a 25 Cost.”.

Conseguentemente, posto quanto sancito dall’art. 23 della Costituzione che prevede che nessuna prestazione patrimoniale possa essere imposta dal giudice senza espressa previsione normativa, similmente dovrà essere richiesto per ogni pronuncia straniera.

Pertanto laddove il giudice italiano si dovesse trovare a delibare sentenze straniere in cui sono comminati cd. danni punitivi non potrebbe giudicarle contrarie all’ordine pubblico interno, poiché quest’ultimo non fa riferimento all’istituto del risarcimento del danno unicamente con funzione compensativa, né lo ritiene incompatibile con una funzione anche sanzionatoria.

Ciò nonostante precisa la Corte l’istituto aquiliano non deve vedere mutata la sua essenza, con la conseguenza che non è comunque consentito ai giudici italiani di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati.

 

Dott.ssa Simona Semmola

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