lo status di rifugiato è definito dalla direttiva come il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, dello status di rifugiato e che quest’atto di riconoscimento ha natura meramente ricognitiva enon costitutiva di tale qualità.
Su questo punto la Corte nota che il riconoscimento formale dello status di rifugiato ha la conseguenza che il rifugiato interessato dispone del complesso dei diritti e dei benefici previsti dalla direttiva per questo tipo di protezione internazionale, di cui fanno parte, nel contempo, diritti equivalenti a quelli contenuti nella Convenzione di Ginevra e tutele giuridiche ancora maggiori, derivanti direttamente dalla direttiva, che non hanno equivalenti nella convenzione.
La Corte poi ha rilevato che i motivi di revoca e di diniego previsti dalla direttiva corrispondono ai motivi che la Convenzione di Ginevra riconosce tali da giustificare il respingimento di un rifugiato. A tal riguardo, la Corte sottolinea che, laddove, nel caso in cui le condizioni che consentono di fare appello ai citati motivi siano soddisfatte, la Convenzione di Ginevra può privare il rifugiato del beneficio del principio del non respingimento verso un paese dove la sua vita o la sua libertà possano essere minacciate, la direttiva dev’essere interpretata e applicata nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta, i quali escludono la possibilità di un respingimento verso un siffatto paese. Infatti, la Carta vieta, in termini categorici, la tortura nonché le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, e l’allontanamento versouno Stato dove esista un rischio serio che una persona sia sottoposta a trattamenti di tal genere.
Ciò premesso, la Corte ha giudicto che, nei limiti in cui la direttiva, al fine di assicurare la protezione della sicurezza e della comunità dello Stato membro ospitante, prevede per questo Stato la possibilità di revocare o negare il riconoscimento dello status di rifugiato, laddove la Convenzione di Ginevra, per gli stessi motivi, consente il respingimento di un rifugiato verso uno Stato dove la sua vita o la sua libertà possano essere minacciate, il diritto dell’Unione riconosce ai rifugiatiinteressati una protezione internazionale più ampia di quella assicurata dalla citata convenzione.
La Corte ha giudicato parimenti che la revoca dello status di rifugiato o il diniego delriconoscimento non hanno l’effetto di far perdere lo status di rifugiato a una persona che abbia un timore fondato di essere perseguitata nel suo paese d’origine. Difatti, benché una persona siffatta non possa, o non possa più, godere del complesso dei diritti e dei benefici che la direttiva riserva ai titolari dello status di rifugiato, essa gode o continua a godere di un certo numero di diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra. A tale riguardo la Corte ha precisato che una persona, avente lo status di rifugiato, deve assolutamente disporre dei diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra ai quali la direttiva fa espresso riferimento4 nel contesto della revoca e del diniego del riconoscimento dello status di rifugiato per i suddetti motivi, nonché dei diritti previsti da tale convenzione il cui godimento esige non una residenza regolare, bensì la semplice presenza fisica del rifugiato nel territorio dello Stato ospitante.
Alla luce di quanto sin qui illustrato, la Corte ha concluso che le disposizioni in questione della direttiva sono conformi alla Convenzione di Ginevra e alle norme della Carta e del TFUE che impongono il rispetto di tale convenzione. Da ciò consegue che queste disposizioni devono essere considerate valide.
Fonte: CGUE