Deindicizzazione da parte dei motori di ricerca nel territorio dell’UE

14 gennaio 2019

Nella causa C-507/19, Google/CNIL, in data 10 gennaio 2019, l’avvocato generale Szpunar propone alla Corte di limitare all’ambito dell’Unione europea la deindicizzazione alla quale devono procedere i gestori di motori di ricerca.

Nelle sue conclusioni odierne l’avvocato generale Maciej Szpunar esordisce con l’indicare che le disposizioni del diritto dell’Unione applicabili alla presente fattispecie1 non regolano espressamente la questione della territorialità della deindicizzazione. Egli ritiene quindi che sia necessaria una differenziazione a seconda del luogo a partire dal quale è effettuata la ricerca. Infatti, le richieste di ricerca effettuate al di fuori del territorio dell’Unione europea non dovrebbero essere interessate dalla deindicizzazione dei risultati di ricerca. Egli non è quindi favorevole ad un’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione così ampia che queste abbiano effetto oltre l’ambito territoriale dei 28 Stati membri. L’avvocato generale sottolinea infatti che, pur se effetti extraterritoriali sono ammessi in determinati casi, riguardanti il mercato interno, chiaramente delimitato – ad esempio in materia di diritto della concorrenza o di diritto dei marchi – per la natura stessa di Internet, che è su scala mondiale ed è presente ovunque in pari misura, tale possibilità non è comparabile. 

Secondo l’avvocato generale, occorre effettuare un bilanciamento del diritto fondamentale all’oblio con il legittimo interesse del pubblico ad avere accesso all’informazione ricercata. 

Per l’avvocato generale, infatti, ove si ammettesse una deindicizzazione mondiale, le autorità dell’Unione europea non sarebbero in grado di definire e determinare il diritto a ricevere informazioni, e ancor meno di effettuarne un bilanciamento con gli altri diritti fondamentali della protezione dei dati e alla vita privata. Ciò a maggior ragione in quanto siffatto interesse del pubblico ad avere accesso ad un’informazione varierà necessariamente da uno Stato terzo all’altro, secondo la sua ubicazione geografica. Nel caso in cui fosse possibile procedere ad una deindicizzazione su scala mondiale, sussisterebbe il rischio che sia impedito di aver accesso alle informazioni a soggetti che si trovano in Stati terzi e che, per reciprocità, gli Stati terzi impediscano di aver accesso alle informazioni a soggetti che si trovano negli Stati membri dell’Unione. 

Nondimeno, in talune situazioni l’avvocato generale non esclude la possibilità di imporre ad un gestore di un motore di ricerca di intraprendere azioni di deindicizzazione a livello mondiale, ma ritiene che ciò non sia giustificato dalla situazione di cui alla presente fattispecie. 

Egli propone quindi alla Corte di dichiarare che il gestore di un motore di ricerca non è tenuto, allorché accoglie una richiesta di deindicizzazione, di effettuare tale deindicizzazione su tutti i nomi di dominio del suo motore affinché, indipendentemente dal luogo a partire dal quale è effettuata la ricerca in base al nome del richiedente, i link controversi non compaiano più. 

L’avvocato generale sottolinea invece che, una volta che sia stato accertato il diritto a una deindicizzazione all’interno dell’Unione, il gestore di un motore di ricerca deve adottare tutte le misure a sua disposizione per garantire una deindicizzazione efficace e completa, a livello del territorio dell’Unione europea, incluso mediante la cosiddetta tecnica del «blocco geografico» a partire da un indirizzo IP che è reputato essere ubicato all’interno di uno Stato degli Stati membri, e ciò indipendentemente dal nome di dominio utilizzato dall’utente Internet che effettua la ricerca.

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