Caso Uber: dai dati al servizio di trasporto urge rispetto delle regole

20 dicembre 2017

Nel mese di dicembre 2017,  la società Uber si è ritrovata nell’occhio del ciclone della regolamentazione europea in materia di privacy e di trasporto.

In data 7 dicembre 2017, i Garanti hanno avviato una indagine sulla violazione di dati personali. Le Autorità per la privacy europee, riunite nel "Gruppo di lavoro Articolo 29", hanno deciso di istituire una task force per indagare sulla violazione di dati personali subìta nel 2016 dalla società americana UBER a seguito di un attacco hacker e tardivamente denunciata solo alla fine dello scorso novembre. Il data breach avrebbe coinvolto i dati di decine di milioni di utenti Uber in tutto il mondo.

La task force, sarà guidata dal Garante olandese – anche in virtù del fatto che la sede legale di Uber in Europa è ad Amsterdam - e composta dai rappresentanti delle Autorità privacy francese, italiana, spagnola, belga e tedesca, e conterà anche sulla collaborazione dell'ICO, l'Autorità britannica.

I Garanti coinvolti hanno già avviato la richiesta di chiarimenti e documentazione presso le sedi Uber dei loro Paesi di competenza, impegnandosi a condividere nell'ambito della task force le informazioni utili all'approfondimento del caso.  

Dopo di che, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sentenza del 20 dicembre 2017, Sentenza nella causa C-434/15, ha chiarito che il servizio di messa in contatto con conducenti non professionisti fornito da Uber rientra nell’ambito dei servizi nel settore dei trasporti.

La Corte ha dichiarato che un servizio d’intermediazione, come quello di Uber, avente ad oggetto la messa in contatto, mediante un’applicazione per smartphone e dietro retribuzione, di conducenti non professionisti utilizzatori del proprio veicolo con persone che desiderano effettuare uno spostamento nell’area urbana, deve essere considerato indissolubilmente legato a un servizio di trasporto e rientrante, pertanto, nella qualificazione di «servizio nel settore dei trasporti», ai sensi del diritto dell’Unione. Un servizio siffatto deve, di conseguenza, essere escluso dall’ambito di applicazione della libera prestazione dei servizi in generale nonché della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno e della direttiva sul commercio elettronico. Ne consegue che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, è compito degli Stati membri disciplinare le condizioni di prestazione di siffatti servizi nel rispetto delle norme generali del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

La Corte ha dichiarato, innanzitutto, che il servizio fornito da Uber non è soltanto un servizio d’intermediazione consistente nel mettere in contatto, mediante un’applicazione per smartphone, un conducente non professionista che utilizza il proprio veicolo e una persona che intende effettuare uno spostamento in area urbana. Infatti, in tale situazione, il fornitore di tale servizio d’intermediazione crea al contempo un’offerta di servizi di trasporto urbano, da lui resi accessibili segnatamente con strumenti informatici, e di cui egli organizza il funzionamento generale a favore delle persone che intendono avvalersi di tale offerta per uno spostamento in area urbana. La Corte ha rilevato, al riguardo, che l’applicazione fornita da Uber è indispensabile sia per i conducenti sia per le persone che intendono effettuare uno spostamento in area urbana. Essa sottolinea altresì che Uber esercita anche un’influenza determinante sulle condizioni della prestazione dei conducenti.

Pertanto, secondo la Corte, tale servizio d’intermediazione deve essere considerato parte integrante di un servizio complessivo in cui l’elemento principale è un servizio di trasporto e, di conseguenza, rispondente non alla qualificazione di «servizio della società dell’informazione», ma a quella di «servizio nel settore dei trasporti».

La Corte ha dichiarato che, di conseguenza, la direttiva sul commercio elettronico non si applica a un siffatto servizio, il quale è altresì escluso dall’ambito di applicazione della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno. Per lo stesso motivo, il servizio di cui trattasi non rientra nell’ambito della libera prestazione dei servizi in generale, ma della politica comune dei trasporti.

Orbene, i servizi di trasporto non collettivi in aerea urbana così come i servizi ad essi indissolubilmente collegati, quali il servizio d’intermediazione fornito da Uber, non hanno portato all’adozione di norme comuni a livello dell’Unione sul fondamento di tale politica.

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