Attuazione in Italia della Convenzione ONU contro la corruzione (UNCAC)

12 settembre 2017

Nei prossimi giorni si aprirà il secondo ciclo di valutazioni avente ad oggetto l’adeguamento normativo nazionale alle disposizioni internazionali in tema di corruzione, con particolare riferimento ai contenuti espressi nella Convenzione di Merida del 2003.

Tale Convenzione, ratificata dall’Italia nel 2009, si inquadra tra i meccanismi internazionali di mutua valutazione in materia di corruzione (quali la Convenzione OCSE).

Con legge n. 300 del 29 settembre 2000, l’Italia ha firmato e ratificato la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, firmata a Parigi il 17 dicembre 1997. In seno all’OCSE l'Italia partecipa già al Gruppo di lavoro sulla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle transazioni economiche internazionali (Working Group on Bribery).

Per parte sua il Groupe d’Etats contre la Corruption / Group of States against Corruption (“GRECO”) costituisce il gruppo di lavoro istituito nell'ambito del Consiglio d’Europa inteso a coadiuvare gli Stati membri nella lotta al fenomeno corruttivo transazionale, attraverso un meccanismo di valutazione reciproca dei protocolli di comportamento e meccanismi protettivi messi in atto dagli Stati che ne fanno parte.

In seno alla Conferenza degli Stati Parte (COSP) prevista dalla Convenzione ONU anti-corruzione del 2003 (UNCAC), è stato istituito l’IRG  (l’Intergovernmental Working Group).

Il meccanismo di revisione dell’UNCAC presenta delle analogie con quello del GRECO e dell’OCSE, in quanto tutti mirano a valutare l’applicazione ciascuno della propria Convenzione da Parte degli Stati Parte o comunque aderenti alla Convenzione.

Tuttavia la Convenzione delle Nazioni Unite è quella cui aderiscono il più alto numero di Stati a livello mondiale (140 Paesi firmatari e 156 Stati Parte) ed è quella con un campo di azione più vasto nella previsione della lotta alla corruzione.

Le misure di prevenzione della corruzione previste dall’ONU includono procedure di best practice in merito alla trasparenza nella pubblica amministrazione (in particolare nel settore degli appalti pubblici), nella selezione del personale pubblico, nella gestione delle finanze pubbliche e prevenzione conflitti d’interesse, oltre a contenere disposizioni in materia di recupero di beni, assistenza tecnica ai Paesi emergenti e in via di sviluppo, cooperazione internazionale.

L’art. 6 della Convenzione prevede che ogni Stato per la prevenzione della corruzione istituisca un referente interno che abbia i caratteri di necessaria indipendenza e sia libero da ogni influenza e rediga i codici di condotta e politiche favorevoli al buon governo, oltre ad indicare misure di salvaguardia dello stato di diritto e alla responsabilità e dell’integrità dei funzionari pubblici, anche tramite forme di protezione dei whistleblowers e di chi sporge denuncia.

Nel corso delle riunioni del gruppo di lavoro IRG (l’Intergovernmental Working Group) vengono sorteggiati gli Stati da valutarsi nei quattro anni di ogni ciclo di revisione. 
In tale contesto, ed in vista del prossimo ciclo di valutazione che avrà ad oggetto l’Italia, il Ministero della Giustizia ha avviato una serie di consultazioni con associazioni ed enti privati, per valutare lo stato dell’arte e l’adeguatezza delle misure adottate in Italia in tema di lotta alla corruzione allo standard ed alle disposizioni internazionali. Transparency International Italia, insieme a Confindustria ed altri soggetti istituzionali sono sati chiamati ad esprimere valutazioni in merito all'adempimento delle prescrizioni contenute nell'articolo 12 della Convenzione, che richiede l'adozione di misure di contrasto alla corruzione tra privati.

Il tema della corruzione tra privati è stato oggetto specifico della Legge190/2012 che, con l’obiettivo di garantire l’adeguamento dell’Italia alle raccomandazioni internazionali, ha previsto, all’art. 1, comma 75, numerose modifiche ai reati contro la pubblica amministrazione previsti dal codice penale. Il reato di corruzione tra privati trova quindi spazio nel sistema italiano attraverso la modifica dell’art. 2635 c.c. recata dal comma 75 dell’art. 1 della nuova legge, ed in base alla nuova formulazione dell’articolo, risponde all’intento di dare più compiuta attuazione, rispetto a quanto non facesse il testo previgente, alle norme dettate in materia dagli artt. 6 e 7 della Convenzione penale del Consiglio d’Europa, dall’art. 21 dell’UNCAC nonché dalla stessa Unione europea (attraverso la decisione quadro 2003/568/GAI del 22 luglio 2003).

 

Occorre rilevare come la disposizione richiamata, come detto contenuta nel nostro Codice ed oggi adottata, limiti tuttavia l’ambito della tutela alle sole società intese in senso proprio, mentre gli artt. 6 e 7 della Convenzione penale del Consiglio d’Europa e l’art. 21 della UNCAC operano avendo a riferimento un orizzonte più vasto, costituito da qualsiasi “attività commerciale”. Addirittura l’art. 2 della decisione quadro in materia dell’Unione europea parla di qualsiasi tipo di “attività professionale” atta a generare un comportamento corruttivo.

 

Anche nella sua nuova formulazione, l’art. 2635 c.c. non appare pertanto in linea con lo strumento dell’Unione mantenendo eccessivamente ristretti i confini dell’incriminazione rispetto a quanto consentito dall’Unione. Il comma 77 della legge 190/2012 ha poi introdotto le norme di raccordo relative alla responsabilità delle persone giuridiche, intervenendo sul d.lg. 8 giugno 2001, n. 231. Sono così state inserite nuove ipotesi di responsabilità per gli enti in relazione ai nuovi reati di induzione indebita (“concussione per induzione”, nuovo art. 319-quater) e di corruzione tra privati “nei casi previsti dal terzo comma dell’articolo 2635 del codice civile”, operando in tal modo la scelta di restringere tale nuova ipotesi di responsabilità alle sole condotte di corruzione (privata) attiva e reprimendo la stessa con la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote, e considerando in tal modo le società di appartenenza dei soggetti corrotti come sostanzialmente equiparate a vittime delle condotte di corruttela.

 

Nel complesso, si può rilevare che l’avvenuta approvazione della legge anticorruzione e la sua incidenza sul D. Lgs 231/2001 in tema di responsabilità amministrativa di enti fornisce risposta adeguata ad un buon numero delle preoccupazioni emerse nelle sedi internazionali nei confronti della lotta anticorruzione del nostro Paese. Se a ciò si aggiungono interventi normativi recenti, come quello istitutivo del rating di legalità e la nuova legge antiriciclaggio, come anche iniziative delle diverse associazioni, quali il Business Integrity Forum di Transparency International e le Linee guida ex articolo 6 del D. Lgs. 231/2001, elaborate da Confindustria, il contesto normativo di riferimento appare sufficientemente ampio e pervasivo per le tutele del caso.

 

Semmai qualche perplessità può ravvisarsi nella nostra disciplina sulla prescrizione dei reati ed il problema dell’adeguatezza e conseguente potere di dissuasione costituito dalle pene applicabili, in particolare per ciò che riguarda la mancanza di sanzioni pecuniarie nei confronti delle persone fisiche e, (lato previsioni sanzionatorie ex D. Lgs 231/2001) l’importo massimo delle sanzioni comminabili nei confronti delle persone giuridiche per reati commessi nel loro interesse. Tali temi attendono il nuovo round di valutazioni, oltre a quello – in generale – circa l’adozione di sanzioni interdittive per tale tipologia di reati, che ancor oggi costituiscono il vero deterrente ai comportamenti devianti in oggetto.

 

Avv. Fabrizio Cugia di Sant’Orsola                                                     Avv. Tiziana Bastianelli

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